Appennino abbandonato
C'era una volta un borgo, di Michelangelo Abatantuono, pubblicato in: "Nelle valli bolognesi", 18 (luglio/settembre 2013) Vai alla pagina facebook
Qualche anno fa mio fratello – persona temeraria e sprezzante dei pericoli – decise che, dopo aver calcato la regione appenninica a piedi, in moto, in auto e con altri mezzi terrestri, era giunta l'ora di perlustrarla anche dal cielo. Recatosi all'aviosuperficie di Galliano (Barberino di Mugello), prese accordi con un ancor più temerario aviatore per effettuare un'escursione sopra il territorio di Castiglione dei Pepoli con un piccolo aereo ultraleggero. Indossati il casco d'ordinanza e altri orpelli volti a tutelare la sicurezza, con appresso la reflex, i due partirono sorvolando i crinali che dividono Emilia e Toscana.
Per la cronaca, mio fratello Gianluca tornò sano e salvo dalla spedizione, visibilmente emozionato ma con un ricco e interessante bottino fotografico: località familiari, ritratte però da un'insolita e nuova prospettiva.
Il giorno seguente eravamo davanti al computer a commentare le riprese: “Guarda, Baragazza! Qui il Santuario di Boccadirio, lì Roncobilaccio... qua San Giacomo e Castagnolo di Sopra, Capannelle...” Poi non doveva esserci più nulla, solo boschi, un'ampia area pressoché disabitata tra Castiglione e Barberino, invece – a ben guardare – spuntano le pietre di un edificio tra la rigogliosa vegetazione della stagione estiva, e poi lì vicino ancora altre pietre e ancora i ruderi di quella che un tempo ormai lontano fu una casa. Una struttura isolata ci poteva stare, ma un borgo proprio no! Un borgo abbandonato a poca distanza da territori densamente popolati e dall'Autostrada del Sole! Prendemmo subito la cartografia IGM, quella più datata, per cercare riscontro di insediamenti oggi non più esistenti, ed ecco spuntare un nome: Ripanaio. Mi tornarono alla mente il lago di Vagli in Garfagnana col suo spettrale villaggio che riemerge ogni dieci anni durante i lavori di manutenzione della diga o i villaggi medievali abbandonati, scavati in varie parti d'Europa negli ultimi decenni dagli archeologi, ma qui a Ripanaio eravamo di fronte a case ancora in piedi, seppur collabenti e ormai in rovina.
Ripanaio è un borgo abbandonato, a pochi passi dal confine regionale tra Emilia e Toscana, dove ancora sessant'anni fa la vita pulsava, si nasceva e si moriva, si campava la dura esistenza della millenaria civiltà contadina ormai al crepuscolo. Il Dizionario del Repetti, che sempre sovviene ai ricercatori di storia toscana, in questo caso è muto, forse perché troppo piccolo era Ripanaio o perché a quei rustici abbarbicati sulle pendici dei monti non guardava nessuno.
Qualche giorno dopo la perlustrazione aerea decidemmo di andare di persona a visitare quei luoghi. Giunti in auto fino a Capannelle, si prosegue a piedi e, dopo un non lungo tragitto nel bosco, si arriva a questo borgo spettrale: case ormai ridotte a cumuli di pietre, ad altre rimane qualche brandello del tetto di lastre d'arenaria, e poi soffitti sfondati e altri che nessuno avrebbe più il coraggio di percorrere. Nei muri gli intonaci conservano il barlume di vivaci tinteggiature slavate dagli anni e dalle intemperie; povere assi di quelle che un tempo erano credenze ricavate negli spessi muri conservano ancora qualche bottiglia e povere suppellettili.
Varchiamo qualche soglia, ma nelle case non v'è quasi più nulla che possa testimoniare il brulichìo della vita che un tempo vi scorreva. Semplici scale di legno portano di sopra, a stanze che non ci sono più. Qui non è mai arrivata la luce elettrica e la televisione, gli incerti viottoli che separano le case non hanno mai ricevuto l'asfalto e le automobili. Forse per questo i suoi abitanti lo hanno abbandonato, per cercare a valle quelle comodità che lassù non arrivavano. Come dare loro torto? Eppure chi giunge oggi a Ripanaio prova il desiderio di tornare a ritmi più rispettosi della natura umana, a un rapporto con l'ambiente meno effimero e mediato.
Avrei voluto conoscere altro su questo borgo, ma il desiderio è rimasto fra i tanti progetti di ricerca lasciati sul binario d'attesa, quando un paio d'anni fa sulla rivista “Savena Setta Sambro” il borgo abbandonato riappare nei ricordi di quella che un tempo fu una giovane maestrina mandata da Bologna in una delle scuole più relegate, ai limiti della civiltà. La stanza dove faceva lezione era a Capannelle ma Ripanaio, lì vicino, era ancora vivo. Chi vorrà leggerne i ricordi, pubblicati sulla rivista in più tempi, scoprirà un mondo surreale più contiguo ai nostri progenitori animali che all'ipertecnologia di cui oggi nessuno vorrebbe più fare a meno. Eppure sono trascorsi solo sessant'anni: tanti per il tornaconto opportunistico della società dei consumi, un soffio nel lento trascorrere delle ere.
Ripanaio non è l'unico borgo abbandonato del nostro Appennino. Alle pendici del Monte Calvi si trova Chiapporato (in comune di Camugnano) che Paolo Guidotti, visitandolo in tempi in cui la rovina era meno evidente, definì un “paradiso terragno ai confini del mondo”. Gli edifici più antichi sembrano cinquecenteschi e il Calindri, nella seconda metà del Settecento, lo dice popolato da 12 famiglie. Raggiungibile con una strada sterrata da Stagno, le sue case pressoché tutte abbandonate da decenni vanno inesorabilmente riducendosi a ruderi, sui quali la natura riprende il sopravvento, quasi a riappropriarsi delle pietre che l'uomo le aveva rapito. La chiesa, dedicata a San Giovanni Battista è stata restaurata nel 2005 quando vi fu portata anche l'energia elettrica, forse sperando che il borgo ritornasse alla vita, ma quello rimane l'unico intervento volto ad arginarne il degrado.
Anche la montagna toscana presenta simili casi di abbandono. A Moraduccio, frazione di Castel del Rio, imponenti sono le vestigia del paese di Castiglioncello, che conserva un impianto articolato, con due chiese, cimitero e architetture anche di un certo pregio. Il luogo è ricordato dal Trecento e per secoli rimase in ballo tra l'imolese e il fiorentino. La chiesa maggiore, con campanile, venne costruita nel 1796 e ancora nel 1931 il borgo aveva 31 abitanti, finché nei primi anni Sessanta anche le ultime famiglie abbandonarono il paese avìto, scomodamente arroccato su un aspro sperone roccioso. Percorrendo l'ampia strada centrale, su cui si affacciano numerosi i portali d'arenaria, la mente ritorna ai giorni passati, figurandosi la vita che non vi scorre più; ma basta una rapida occhiata a quegli ambienti entro cui filtra una luce soffusa per tornare alla realtà: muri collabenti, strutture crollate e il vento che s'insinua impetuoso facendo sbattere le poche imposte rimaste, attendendo invano che qualcuno si appresti a serrarle.
Più a ovest, nei pressi di Firenzuola, Brento Sanico. La località è ricordata fin dal 1145 come possesso dei potenti Ubaldini e passò nel 1350 a Firenze. Era un nucleo rurale di legnaioli e carbonai, con l'annessa chiesa di San Biagio, sul versante sudorientale del monte Coloreta. Resta ancora visibile il basamento di una torre e alcuni edifici sono direttamente addossati alla parete rocciosa. Destano meraviglia gli affreschi all'interno della chiesa: chi mai volle splendidamente ornare quelle volte, in una plaga così remota?
Come possiamo chiudere? Non è necessario volare in Perù per trovare vestigia di civiltà scomparse. Quelle sudamericane sono certo più imponenti, ma queste nostrane ci mostrano visivamente e materialmente gli inusuali lacerti di un passato che siamo soliti osservare cristallizzato nelle fotografie ingiallite o nei filmati d'antan.